La decadenza dell'agro atestino
A partire dal III secolo d. C. il centro di Ateste e con esso la parte occidentale dell’agro, decade a causa delle prime invasioni barbariche, dei disordini
idrografici, alle condizioni della cosa pubblica romana ed all’espandersi del latifondo.
La popolazione durante i lunghi anni di confusione, di paura, di angoscia, si trasferì in località differenti da quelle in precedenza abitate perché ritenute poco sicure e abitabili, abbandonando la cura e la conservazione di tutte quelle minute serie di opere che certamente avevano
attuato nell’intento di ampliare l’area coltivata e di conseguirne una maggiore quantità di prodotti.
Le grandi vie, la Postumia e l’Imperiale, cominciarono a rovinare perché trascurate e senza la minima manutenzione. Si ha notizia che Alessandro Severo, Massimino (222-238) e altri successivi imperatori, fecero riattare più volte alcune strade della Venetia (Popilia, Annia e Postumia)
e regolarne il corso pubblico.
Le continue inondazioni dell’Adige (e dei torrenti Guà, Chiampo e Togna) verificatesi a partire dal III secolo d.C., causarono un vasto impaludamento nel
territorio posto lungo l’alveo del fiume a partire dalla confluenza con l’Alpone fino a Pressana ed oltre.
In questa zona paludosa confluivano anche le acque portate dall’antico corso dell’Adige che da Albaredo passava per Cucca, Sabbion, Pressana e Montagnana.
Le acque dell’Adige, impedite nel normale deflusso lungo l’antico corso, iniziarono così a scorrere tutte nell’altro ramo verso sud, mentre quello per Cologna, impaludatosi, si estinse.
Secondo gli storici la diversione di questo ramo avvenne con la nota “Rotta della Cucca” del 17 ottobre 589, una disastrosa alluvione causata dallo straripamento dell’Adige che, secondo la tradizione storiografica veneta, sarebbe stata la causa dello sconvolgimento idrografico
che tra il VI e l’VIII secolo modificò sostanzialmente il panorama fluviale del basso Veneto.
Il dissesto ambientale della pianura diventò incontrollabile ed interessò in parte anche il territorio di Arcole, principalmente nella parte occidentale, dove
esistono quattro aree depresse in pianura alluvionale, dall’orlo della scarpata fluviale (località Campagna Bassa) fino all’ipotizzato presupposto corso del Tramigna (Valle Poggi).
Anche la parte Nord-Ovest del territorio comunale, in prossimità delle località Alzana e Fossabassa (San Bonifacio), fu interessata da un impaludamento. Ne è la prova che in quasi tutta l’area della villa rustica di epoca romana, scoperta all’Alzana nel 2000, è stato individuato
un deposito alluvionale di limo con uno spessore, in alcuni punti, fino a 40 cm, di colore marrone-grigiastro, con evidenti concentrazioni di sabbia, da mettere in relazione con una o più esondazioni di corsi d’acqua di origine presumibilmente lessinica.
Lo strato alluvionale è stato individuato chiaramente al di sopra dei piani d’uso romani, già spogliati e al di sopra delle murature ridotte in fondazione.
Proprio lo strato alluvionale ha restituito una moneta della prima metà del IV secolo trascinata dall’acqua.
Nel sito dell’Alzana è stato evidenziato un momento di trasformazione ambientale che può essere ricollegato ai consistenti
cambiamenti idrogeologici che interessarono l’area dell’Adige tra l’età tardo antica e altomedievale.
A partire dal III secolo d. C. il centro di Ateste e con esso la parte occidentale dell’agro, decade a causa delle prime invasioni barbariche, dei disordini
idrografici, alle condizioni della cosa pubblica romana ed all’espandersi del latifondo.
La popolazione durante i lunghi anni di confusione, di paura, di angoscia, si trasferì in località differenti da quelle in precedenza abitate perché ritenute poco sicure e abitabili, abbandonando la cura e la conservazione di tutte quelle minute serie di opere che certamente avevano
attuato nell’intento di ampliare l’area coltivata e di conseguirne una maggiore quantità di prodotti.
Le grandi vie, la Postumia e l’Imperiale, cominciarono a rovinare perché trascurate e senza la minima manutenzione. Si ha notizia che Alessandro Severo, Massimino (222-238) e altri successivi imperatori, fecero riattare più volte alcune strade della Venetia (Popilia, Annia e Postumia)
e regolarne il corso pubblico.
Le continue inondazioni dell’Adige (e dei torrenti Guà, Chiampo e Togna) verificatesi a partire dal III secolo d.C., causarono un vasto impaludamento nel
territorio posto lungo l’alveo del fiume a partire dalla confluenza con l’Alpone fino a Pressana ed oltre.
In questa zona paludosa confluivano anche le acque portate dall’antico corso dell’Adige che da Albaredo passava per Cucca, Sabbion, Pressana e Montagnana.
Le acque dell’Adige, impedite nel normale deflusso lungo l’antico corso, iniziarono così a scorrere tutte nell’altro ramo verso sud, mentre quello per Cologna, impaludatosi, si estinse.
Secondo gli storici la diversione di questo ramo avvenne con la nota “Rotta della Cucca” del 17 ottobre 589, una disastrosa alluvione causata dallo straripamento dell’Adige che, secondo la tradizione storiografica veneta, sarebbe stata la causa dello sconvolgimento idrografico
che tra il VI e l’VIII secolo modificò sostanzialmente il panorama fluviale del basso Veneto.
Il dissesto ambientale della pianura diventò incontrollabile ed interessò in parte anche il territorio di Arcole, principalmente nella parte occidentale, dove
esistono quattro aree depresse in pianura alluvionale, dall’orlo della scarpata fluviale (località Campagna Bassa) fino all’ipotizzato presupposto corso del Tramigna (Valle Poggi).
Anche la parte Nord-Ovest del territorio comunale, in prossimità delle località Alzana e Fossabassa (San Bonifacio), fu interessata da un impaludamento. Ne è la prova che in quasi tutta l’area della villa rustica di epoca romana, scoperta all’Alzana nel 2000, è stato individuato
un deposito alluvionale di limo con uno spessore, in alcuni punti, fino a 40 cm, di colore marrone-grigiastro, con evidenti concentrazioni di sabbia, da mettere in relazione con una o più esondazioni di corsi d’acqua di origine presumibilmente lessinica.
Lo strato alluvionale è stato individuato chiaramente al di sopra dei piani d’uso romani, già spogliati e al di sopra delle murature ridotte in fondazione.
Proprio lo strato alluvionale ha restituito una moneta della prima metà del IV secolo trascinata dall’acqua.
Nel sito dell’Alzana è stato evidenziato un momento di trasformazione ambientale che può essere ricollegato ai consistenti
cambiamenti idrogeologici che interessarono l’area dell’Adige tra l’età tardo antica e altomedievale.