Le leggende dei Longobardi nel Veronese
Secondo la leggenda fu il generale bizantino Narsete, per una ripicca in quel complicato gioco di ruoli e potere che spesso caratterizzò la politica di Costantinopoli, a chiamare in Italia i longobardi.
Si trattava di una delle tante popolazioni germaniche, di cultura nomade e guerresca, che dalla Scandinavia era progressivamente migrata verso
le pianure dell’Europa centrale e ora si preparava a varcare le Alpi con al seguito donne, vecchi, bambini e armenti.
Era il 568 e a guidarli vi era il re Alboino. Lungo l’avanzata egli lasciava i suoi duchi a presidiare le città che andava
conquistando con facilità. A lungo, e in parte tuttora, il nord Italia, primo ad essere occupato da questa nuova stirpe di
conquistatori, fu chiamato Longobardia, in seguito Lombardia. Dante stesso, parlando di Cangrande della Scala,
signore scaligero, lo definisce il “Gran lombardo”.
Con la conquista di Pavia, unica città a opporre una flebile resistenza e che sarebbe poi diventata la capitale del regno,
nel 571 l’insediamento longobardo è concluso. Capitale temporanea, sempre per la sua importanza strategica al centro dei territori conquistati, è però
Verona. Alboino si insedierà nel palazzo- castello che fu di Teodorico. E qui ancora una volta la storia si fonde con il mito.
E’ infatti a Verona, nelle sale del cupo castello rischiarate dalle torce, che secondo la leggenda si consuma il
dramma che segnerà la fine del re longobardo.
Alboino sta festeggiando la conquista d’Italia circondato dai suoi duchi e generali accorsi da tutto il nord Italia.
Tra loro vi è anche la sua sposa Rosmunda.
Preso dall’euforia della vittoria, del banchetto coi suoi guerrieri e sicuramente dall’abbondante vino, Alboino lodandone la bellezza, porge
da bere alla consorte in una coppa che, secondo le crudeli usanze barbariche, era stata realizzata con il cranio del padre
della stessa Rosmunda, Cunimondo re dei Gepidi, altra popolazione barbarica
annientata dai longobardi in Pannonia. Rosmunda beve, ma in cuor suo già medita vendetta. Assieme a Elmichi, nobile del seguito di Alboino di cui era
diventata amante, ordisce una congiura e uccide a tradimento il re longobardo.
Non avendo previsto la fedeltà dei suoi duchi al valoroso re, i congiurati sono costretti a fuggire a Ravenna, ancora in
mano bizantina, dove trovano la morte in vicende più e più volte romanzate.
Sempre secondo il racconto leggendario, Alboino venne sepolto a Verona, sotto una scala di accesso al palazzo di Teodorico.
La scoperta di alcune sepolture longobarde proprio in un muro della scalinata di accesso a castel San
Pietro, fece credere a molti di aver finalmente trovato la tomba del re longobardo.
Anche se la capitale venne spostata poi a Pavia, Verona continuò ad avere un ruolo centrale nella storia longobarda in Italia.
Dopo li breve regno di Clefi e il decennio in cui i duchi longobardi, temendo per la loro autonomia decisero
di non nominare un sovrano, sotto la minaccia franca, re d’Italia venne eletto Autari, duca di Verona. La capitale continuava
ad essere Pavia, ma il matrimonio tra Autari e Teodolinda, principessa bavara, si tenne nel 589 con grande sfarzo proprio nei pressi di Verona.
Alla morte di Autari si susseguirono numerosi altri sovrani longobardi tra cui il celebre Rotari con il suo famoso
editto, una dettagliata raccolta di leggi.
Si giunse così alla fine del 700, quando una nuova stirpe di regnanti si apprestò a prendere il controllo della penisola italiana: i Franchi.
Durante la dominazione longobarda sorsero, nel veronese, fondazioni monastiche legate o dipendenti dall’abbazia
di Bobbio che crearono le basi per lo sviluppo dell’agricoltura, con la diffusione di vigneti, castagneti, oliveti, mulini e frantoi. Si riaprirono le vie
commerciali e di comunicazione: olio, sale, legname, carne, ecc.
Fra queste il grande priorato di San Colombano di Bardolino, con il territorio del lago di Garda, dei fiumi Adige, Mincio, la zona
della Valpolicella e del veronese.
L’ente ecclesiastico che ebbe maggior influsso sulle vicende politiche, economiche e sociali di Arcole fu sicuramente il monastero di Santa Maria in Organo di Verona.
La chiesa di Santa Maria in Organo, dedicata a Maria Assunta, è una delle più antiche di Verona, poiché vanta origini
altomedievali. Alcuni storici, basandosi su un documento di età carolingia del 26 febbraio 845, rivendicarono la
fondazione al Duca longobardo Lupo ed alla moglie Ermelinda, avvenuta nel secolo VIII.
Il complesso monastico sorse sul lato destro della via consolare Postumia che da Genova, attraversando la pianura
Padana, giungeva ad Aquileia. Alle sue dipendenze comparve anche uno xenodochio (ospizio-ospedale per pellegrini).
Il monastero ricevette donazioni e privilegi da sovrani e imperatori quali Liutprando re dei Longobardi, Lodovico
II, Ottone I ed Enrico II, Berengario I re d’Italia e dal papa Alessandro III. Il patrimonio fondiario del monastero, ad un secolo circa della sua fondazione,
consisteva in beni situati sui monti Lessini, in Valpantena, in Valpolicella, a Zevio e presso il lago di Garda, a Sezano
e a Sorgà. A questi si aggiunsero poi quelli di Arcole, Cavalpone, Gazzo Veronese, Roncanova.
Secondo la leggenda fu il generale bizantino Narsete, per una ripicca in quel complicato gioco di ruoli e potere che spesso caratterizzò la politica di Costantinopoli, a chiamare in Italia i longobardi.
Si trattava di una delle tante popolazioni germaniche, di cultura nomade e guerresca, che dalla Scandinavia era progressivamente migrata verso
le pianure dell’Europa centrale e ora si preparava a varcare le Alpi con al seguito donne, vecchi, bambini e armenti.
Era il 568 e a guidarli vi era il re Alboino. Lungo l’avanzata egli lasciava i suoi duchi a presidiare le città che andava
conquistando con facilità. A lungo, e in parte tuttora, il nord Italia, primo ad essere occupato da questa nuova stirpe di
conquistatori, fu chiamato Longobardia, in seguito Lombardia. Dante stesso, parlando di Cangrande della Scala,
signore scaligero, lo definisce il “Gran lombardo”.
Con la conquista di Pavia, unica città a opporre una flebile resistenza e che sarebbe poi diventata la capitale del regno,
nel 571 l’insediamento longobardo è concluso. Capitale temporanea, sempre per la sua importanza strategica al centro dei territori conquistati, è però
Verona. Alboino si insedierà nel palazzo- castello che fu di Teodorico. E qui ancora una volta la storia si fonde con il mito.
E’ infatti a Verona, nelle sale del cupo castello rischiarate dalle torce, che secondo la leggenda si consuma il
dramma che segnerà la fine del re longobardo.
Alboino sta festeggiando la conquista d’Italia circondato dai suoi duchi e generali accorsi da tutto il nord Italia.
Tra loro vi è anche la sua sposa Rosmunda.
Preso dall’euforia della vittoria, del banchetto coi suoi guerrieri e sicuramente dall’abbondante vino, Alboino lodandone la bellezza, porge
da bere alla consorte in una coppa che, secondo le crudeli usanze barbariche, era stata realizzata con il cranio del padre
della stessa Rosmunda, Cunimondo re dei Gepidi, altra popolazione barbarica
annientata dai longobardi in Pannonia. Rosmunda beve, ma in cuor suo già medita vendetta. Assieme a Elmichi, nobile del seguito di Alboino di cui era
diventata amante, ordisce una congiura e uccide a tradimento il re longobardo.
Non avendo previsto la fedeltà dei suoi duchi al valoroso re, i congiurati sono costretti a fuggire a Ravenna, ancora in
mano bizantina, dove trovano la morte in vicende più e più volte romanzate.
Sempre secondo il racconto leggendario, Alboino venne sepolto a Verona, sotto una scala di accesso al palazzo di Teodorico.
La scoperta di alcune sepolture longobarde proprio in un muro della scalinata di accesso a castel San
Pietro, fece credere a molti di aver finalmente trovato la tomba del re longobardo.
Anche se la capitale venne spostata poi a Pavia, Verona continuò ad avere un ruolo centrale nella storia longobarda in Italia.
Dopo li breve regno di Clefi e il decennio in cui i duchi longobardi, temendo per la loro autonomia decisero
di non nominare un sovrano, sotto la minaccia franca, re d’Italia venne eletto Autari, duca di Verona. La capitale continuava
ad essere Pavia, ma il matrimonio tra Autari e Teodolinda, principessa bavara, si tenne nel 589 con grande sfarzo proprio nei pressi di Verona.
Alla morte di Autari si susseguirono numerosi altri sovrani longobardi tra cui il celebre Rotari con il suo famoso
editto, una dettagliata raccolta di leggi.
Si giunse così alla fine del 700, quando una nuova stirpe di regnanti si apprestò a prendere il controllo della penisola italiana: i Franchi.
Durante la dominazione longobarda sorsero, nel veronese, fondazioni monastiche legate o dipendenti dall’abbazia
di Bobbio che crearono le basi per lo sviluppo dell’agricoltura, con la diffusione di vigneti, castagneti, oliveti, mulini e frantoi. Si riaprirono le vie
commerciali e di comunicazione: olio, sale, legname, carne, ecc.
Fra queste il grande priorato di San Colombano di Bardolino, con il territorio del lago di Garda, dei fiumi Adige, Mincio, la zona
della Valpolicella e del veronese.
L’ente ecclesiastico che ebbe maggior influsso sulle vicende politiche, economiche e sociali di Arcole fu sicuramente il monastero di Santa Maria in Organo di Verona.
La chiesa di Santa Maria in Organo, dedicata a Maria Assunta, è una delle più antiche di Verona, poiché vanta origini
altomedievali. Alcuni storici, basandosi su un documento di età carolingia del 26 febbraio 845, rivendicarono la
fondazione al Duca longobardo Lupo ed alla moglie Ermelinda, avvenuta nel secolo VIII.
Il complesso monastico sorse sul lato destro della via consolare Postumia che da Genova, attraversando la pianura
Padana, giungeva ad Aquileia. Alle sue dipendenze comparve anche uno xenodochio (ospizio-ospedale per pellegrini).
Il monastero ricevette donazioni e privilegi da sovrani e imperatori quali Liutprando re dei Longobardi, Lodovico
II, Ottone I ed Enrico II, Berengario I re d’Italia e dal papa Alessandro III. Il patrimonio fondiario del monastero, ad un secolo circa della sua fondazione,
consisteva in beni situati sui monti Lessini, in Valpantena, in Valpolicella, a Zevio e presso il lago di Garda, a Sezano
e a Sorgà. A questi si aggiunsero poi quelli di Arcole, Cavalpone, Gazzo Veronese, Roncanova.