La "Sculdascia Flumen"
Pur contesa da Verona e Vicenza l’area compresa tra l’Alpone-Adige e il Guà mantenne una certa autonomia rispetto
alle due città, tant’è che durante la dominazione longobarda formò la “sculdascia Fluvium”, una sorta di provincia cuscinetto
che non dipendeva né dal ducato di Verona, né da quello di Vicenza, ma era sottoposta direttamente alla corte regia
ed amministrata da uno sculdascio. Questi era capo dei gruppi militari longobardi collocati nei punti più importanti dal
punto di vista strategico, vere colonie militari, chiamate arimannie, che furono formate a imitazione dell’organizzazione
confinaria romana. Tale appellativo si conserva nella parte orientale del Regno italico sino circa alla metà del sec. XI, dopo del qual tempo il moltiplicarsi
delle concessioni feudali fece sparire le superstiti sculdascie;
La sculdascia Fluvium continuò ad esistere, almeno nominalmente, anche nel successivo periodo franco e berengariano, nonostante lo smembramento
attuato da Carlo Magno con l’assegnazione della parte meridionale al comitato di Verona e di quella settentrionale
a Vicenza. Arcole e San Bonifacio fecero parte del comitato vicentino, dove vi rimasero sino al 1147 quando i Vicentini li cedettero ai Veronesi, assieme ad altre località della Val d’Alpone e del Colognese.
I longobardi e il culto di San Giorgio
Una figura mitico-religiosa molto venerata dai Longobardi, per influsso bizantino, era San Giorgio, il leggendario
santo guerriero uccisore del drago. San Giorgio ed altri cristiani furono martirizzati sotto l’imperatore Diocleziano.
Sulla loro tomba, lungo la strada che dal porto di Giaffa portava a Gerusalemme, sorgeva una basilica costantiniana
ben conosciuta dai pellegrini che già dal V secolo si recavano in Terrasanta. San Giorgio, la cui vita in effetti
era sconosciuta, divenne protagonista di leggende di cui la più popolare lo presentava come uccisore del drago, simbolo del male. Come al solito, visto
che era una figura guerriera, il Santo fu prontamente adottato dai Longobardi.
Un importante episodio storico che ci è stato tramandato ci dimostra la grande venerazione per questo santo
ed una correlazione psicologica con S. Michele Arcangelo.
Quando nel 688 morì il re longobardo Pertarito, il potere passò al figlio Cuniperto.
Contro il legittimo regnante, nonostante il giuramento di fedeltà pronunziato nella chiesa pavese di S. Michele, si pose Alachis, duca di Trento.
Nello scontro decisivo fra i due eserciti, quello regio di Cuniperto e quello di Alachis, questi credette di vedere fra
le lance dell’esercito regio San Giorgio e l’Arcangelo Michele e non osò accettare la sfida a singolar tenzone che gli rivolse Cuniperto per evitare spargimento di sangue. Molti lo abbandonarono ed Alachis fu sconfitto rovinosamente. Cuniperto trionfante edificò sul campo
di battaglia che lo aveva visto vittorioso un monastero dedicato a S. Giorgio.
Il re Cuniberto proclamò il santo come secondo patrono della monarchia, convertita al Cristianesimo, accanto a
San Michele Arcangelo. La devozione al santo si diffuse rapidamente. Molti insediamenti longobardi e vari paesi dei loro domini presero a patrono il
santo guerriero.
Ben ventuno comuni in Italia portano il nome di San Giorgio: Per alcuni di questi centri l’origine longobarda è evidente dal nome: San Giorgio della
Richinvelda (PN), San Giorgio delle Pertiche (PD). Per molti altri tale origine è ipotizzabile in base alla maggiore
concentrazione in zone di massimo dominio longobardo (Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli, Ducato di Benevento).
Così dovette fare la comunità longobarda di Arcole, che in quel tempo andò prendendo sempre maggiore
consistenza. E’ comprensibile che anche Arcole, fin dall’inizio, abbia preso il santo come titolare della chiesa e assunto come patrono del paese. I documenti medievali che parlano della pieve di Arcole la dicono sempre “ecclesia Sancti Georgii”. Questo documenta
l’antichità del culto a san Giorgio nel paese.
Ad Arcole la festa di san Giorgio ebbe sempre un rilievo particolare. Un tempo si celebrava la domenica successiva al 23 aprile (giorno dedicato al santo) per favorire la partecipazione di tutti i fedeli senza compromettere il lavoro dei campi. In una memoria
dell’arciprete don Venturini, del 1823, sta scritto che “alla mattina nella prima messa si espone la reliquia del santo, l’ultima messa si canta con grande
solennità. Dopo pranzo c’è vespro e processione con la reliquia.”
Pur contesa da Verona e Vicenza l’area compresa tra l’Alpone-Adige e il Guà mantenne una certa autonomia rispetto
alle due città, tant’è che durante la dominazione longobarda formò la “sculdascia Fluvium”, una sorta di provincia cuscinetto
che non dipendeva né dal ducato di Verona, né da quello di Vicenza, ma era sottoposta direttamente alla corte regia
ed amministrata da uno sculdascio. Questi era capo dei gruppi militari longobardi collocati nei punti più importanti dal
punto di vista strategico, vere colonie militari, chiamate arimannie, che furono formate a imitazione dell’organizzazione
confinaria romana. Tale appellativo si conserva nella parte orientale del Regno italico sino circa alla metà del sec. XI, dopo del qual tempo il moltiplicarsi
delle concessioni feudali fece sparire le superstiti sculdascie;
La sculdascia Fluvium continuò ad esistere, almeno nominalmente, anche nel successivo periodo franco e berengariano, nonostante lo smembramento
attuato da Carlo Magno con l’assegnazione della parte meridionale al comitato di Verona e di quella settentrionale
a Vicenza. Arcole e San Bonifacio fecero parte del comitato vicentino, dove vi rimasero sino al 1147 quando i Vicentini li cedettero ai Veronesi, assieme ad altre località della Val d’Alpone e del Colognese.
I longobardi e il culto di San Giorgio
Una figura mitico-religiosa molto venerata dai Longobardi, per influsso bizantino, era San Giorgio, il leggendario
santo guerriero uccisore del drago. San Giorgio ed altri cristiani furono martirizzati sotto l’imperatore Diocleziano.
Sulla loro tomba, lungo la strada che dal porto di Giaffa portava a Gerusalemme, sorgeva una basilica costantiniana
ben conosciuta dai pellegrini che già dal V secolo si recavano in Terrasanta. San Giorgio, la cui vita in effetti
era sconosciuta, divenne protagonista di leggende di cui la più popolare lo presentava come uccisore del drago, simbolo del male. Come al solito, visto
che era una figura guerriera, il Santo fu prontamente adottato dai Longobardi.
Un importante episodio storico che ci è stato tramandato ci dimostra la grande venerazione per questo santo
ed una correlazione psicologica con S. Michele Arcangelo.
Quando nel 688 morì il re longobardo Pertarito, il potere passò al figlio Cuniperto.
Contro il legittimo regnante, nonostante il giuramento di fedeltà pronunziato nella chiesa pavese di S. Michele, si pose Alachis, duca di Trento.
Nello scontro decisivo fra i due eserciti, quello regio di Cuniperto e quello di Alachis, questi credette di vedere fra
le lance dell’esercito regio San Giorgio e l’Arcangelo Michele e non osò accettare la sfida a singolar tenzone che gli rivolse Cuniperto per evitare spargimento di sangue. Molti lo abbandonarono ed Alachis fu sconfitto rovinosamente. Cuniperto trionfante edificò sul campo
di battaglia che lo aveva visto vittorioso un monastero dedicato a S. Giorgio.
Il re Cuniberto proclamò il santo come secondo patrono della monarchia, convertita al Cristianesimo, accanto a
San Michele Arcangelo. La devozione al santo si diffuse rapidamente. Molti insediamenti longobardi e vari paesi dei loro domini presero a patrono il
santo guerriero.
Ben ventuno comuni in Italia portano il nome di San Giorgio: Per alcuni di questi centri l’origine longobarda è evidente dal nome: San Giorgio della
Richinvelda (PN), San Giorgio delle Pertiche (PD). Per molti altri tale origine è ipotizzabile in base alla maggiore
concentrazione in zone di massimo dominio longobardo (Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli, Ducato di Benevento).
Così dovette fare la comunità longobarda di Arcole, che in quel tempo andò prendendo sempre maggiore
consistenza. E’ comprensibile che anche Arcole, fin dall’inizio, abbia preso il santo come titolare della chiesa e assunto come patrono del paese. I documenti medievali che parlano della pieve di Arcole la dicono sempre “ecclesia Sancti Georgii”. Questo documenta
l’antichità del culto a san Giorgio nel paese.
Ad Arcole la festa di san Giorgio ebbe sempre un rilievo particolare. Un tempo si celebrava la domenica successiva al 23 aprile (giorno dedicato al santo) per favorire la partecipazione di tutti i fedeli senza compromettere il lavoro dei campi. In una memoria
dell’arciprete don Venturini, del 1823, sta scritto che “alla mattina nella prima messa si espone la reliquia del santo, l’ultima messa si canta con grande
solennità. Dopo pranzo c’è vespro e processione con la reliquia.”