La necropoli di Desmontà
Riferibile all’abitato di Sabbionara è la necropoli di Desmontà, situata su alcuni dossi sabbiosi in un’area di circa dieci ettari di superficie, che comprende le località Caneviera di Veronella, a circa 600 metri a est dell’antico abitato e Tramon di Albaredo d’Adige.
Dal 1982 l’area è stata oggetto di varie campagne di scavo che hanno portato alla scoperta di numerose tombe ad incinerazione e di schinieri, elementi
in lamina di bronzo che servivano a proteggere le gambe, di cui parleremo in seguito. Solamente nel corso della campagna di scavo realizzata tra il
2003-2004, in occasione dei lavori per una lottizzazione, sono emerse altre 153 tombe risalenti, secondo gli esperti, ad un periodo compreso tra l’XI ed il IX secolo a. C.. Recentemente, tra la fine del 2010 e gli inizi del 2011, si sono svolte altre indagini archeologiche nella necropoli di Desmontà
e rappresentano l’ultima di una fortunata serie di campagne di scavo.
Queste ricerche hanno portato a considerevoli risultati: sono state recuperate altre trentatré tombe che, aggiunte a
quelle precedenti, portano a un totale di 443 sepolture rinvenute nella necropoli, confermandone l’eccezionalità tra le documentazioni funerarie dell’età
del Bronzo finale in Italia. La sepoltura più importante rinvenuta finora nella necropoli è la tomba 437, costituita da un’urna coperta da scodella e contenente tra i più significativi corredi funebri dell’Età del Bronzo finale, costituito da una serie eccezionale di ornamenti
femminili di pregio (perle d’ambra, saltaleoni in bronzo e ben nove fibule, in parte collegate tra loro da una catenella) che denotano un abbigliamento
complesso e di elementi che connotanola defunta nella sua attività di filatura (fuseruola in corno, decorata da occhi
di dado, rotella raggiata in piombo, elementi di fuso in bronzo). Non si conoscevano in Italia altre necropoli così ampie e con tali particolarità.
Era, infatti, singolare il fatto che le tombe fossero riunite in piccoli nuclei, riferite probabilmente a distinti gruppi parentali, molto distanti tra loro: è stato
rilevato che tra il nucleo di tombe posto più a nord e quello posto più a sud vi è una distanza di oltre 200 metri. Altra particolarità è costituita dal fatto che
le tombe, tutte a cremazione, sono per la massima parte prive di vaso ossario e sono costituite da una semplice buca riempita
di ammasso carbonioso, di ossa bruciate e di qualche elemento di corredo deformato dal fuoco. Si è ipotizzato che l’urna potesse essere costituita da
un vaso di materiale deperibile (legno o cuoio), oppure che le ossa umane combuste fossero sparse semplicemente sul fondo di una buca. Le altre tombe sono rappresentate da un’urna cineraria coperta da una ciotola, la cui tipologia puntuale e precisa, secondo gli esperti, si trova nell’ambito della facies culturale “protoveneta” della “cultura protovillanoviana
In questa evoluzione, quindi, i complessi della pianura veneta assumono gradualmente caratteri specifici e propri di una fase “protoveneta”, intesa
principalmente come periodo di formazione della civiltà dei Veneti dell’età del Ferro. Infatti, esiste una continuità tra la fase protoveneta e la civiltà atestina. Proprio nel Bronzo finale, dopo il lungo e complesso periodo di gestazione arriva, infatti, a maturazione il quadro etnico- culturale del Veneto.
Riferibile all’abitato di Sabbionara è la necropoli di Desmontà, situata su alcuni dossi sabbiosi in un’area di circa dieci ettari di superficie, che comprende le località Caneviera di Veronella, a circa 600 metri a est dell’antico abitato e Tramon di Albaredo d’Adige.
Dal 1982 l’area è stata oggetto di varie campagne di scavo che hanno portato alla scoperta di numerose tombe ad incinerazione e di schinieri, elementi
in lamina di bronzo che servivano a proteggere le gambe, di cui parleremo in seguito. Solamente nel corso della campagna di scavo realizzata tra il
2003-2004, in occasione dei lavori per una lottizzazione, sono emerse altre 153 tombe risalenti, secondo gli esperti, ad un periodo compreso tra l’XI ed il IX secolo a. C.. Recentemente, tra la fine del 2010 e gli inizi del 2011, si sono svolte altre indagini archeologiche nella necropoli di Desmontà
e rappresentano l’ultima di una fortunata serie di campagne di scavo.
Queste ricerche hanno portato a considerevoli risultati: sono state recuperate altre trentatré tombe che, aggiunte a
quelle precedenti, portano a un totale di 443 sepolture rinvenute nella necropoli, confermandone l’eccezionalità tra le documentazioni funerarie dell’età
del Bronzo finale in Italia. La sepoltura più importante rinvenuta finora nella necropoli è la tomba 437, costituita da un’urna coperta da scodella e contenente tra i più significativi corredi funebri dell’Età del Bronzo finale, costituito da una serie eccezionale di ornamenti
femminili di pregio (perle d’ambra, saltaleoni in bronzo e ben nove fibule, in parte collegate tra loro da una catenella) che denotano un abbigliamento
complesso e di elementi che connotanola defunta nella sua attività di filatura (fuseruola in corno, decorata da occhi
di dado, rotella raggiata in piombo, elementi di fuso in bronzo). Non si conoscevano in Italia altre necropoli così ampie e con tali particolarità.
Era, infatti, singolare il fatto che le tombe fossero riunite in piccoli nuclei, riferite probabilmente a distinti gruppi parentali, molto distanti tra loro: è stato
rilevato che tra il nucleo di tombe posto più a nord e quello posto più a sud vi è una distanza di oltre 200 metri. Altra particolarità è costituita dal fatto che
le tombe, tutte a cremazione, sono per la massima parte prive di vaso ossario e sono costituite da una semplice buca riempita
di ammasso carbonioso, di ossa bruciate e di qualche elemento di corredo deformato dal fuoco. Si è ipotizzato che l’urna potesse essere costituita da
un vaso di materiale deperibile (legno o cuoio), oppure che le ossa umane combuste fossero sparse semplicemente sul fondo di una buca. Le altre tombe sono rappresentate da un’urna cineraria coperta da una ciotola, la cui tipologia puntuale e precisa, secondo gli esperti, si trova nell’ambito della facies culturale “protoveneta” della “cultura protovillanoviana
In questa evoluzione, quindi, i complessi della pianura veneta assumono gradualmente caratteri specifici e propri di una fase “protoveneta”, intesa
principalmente come periodo di formazione della civiltà dei Veneti dell’età del Ferro. Infatti, esiste una continuità tra la fase protoveneta e la civiltà atestina. Proprio nel Bronzo finale, dopo il lungo e complesso periodo di gestazione arriva, infatti, a maturazione il quadro etnico- culturale del Veneto.
Il territorio del centro paleoveneto di Sabbionara
All’abitato paleoveneto di Sabbionara doveva corrispondere un esteso territorio che comprendeva parte della valle Zerpana,
tutto il territorio del comune di Arcole, parte dei territori oggi ricadenti nei comuni di San Bonifacio, Lonigo, Zimella, Veronella e Albaredo d’Adige.
Questo territorio era delimitato a ovest dal corso del torrente Tramigna che, in epoca antica, doveva correre dal ponte di Villanova sino all’Adige, attraversando la valle Zerpana tra gli abitati di Zerpa e Bionde. Il nome del torrente Tramigna deriva dal latino “termen”, termine, segno
di confine. I termini, come segni di confine del territorio di una comunità o di delimitazione di proprietà privata, nell’ambito di un preciso avvertimento
di significato legale, relativamente ad un’area che la loro presenza definisce ed individua, sono documentati sin dall’epoca paleoveneta, quando si adottò questo tipo di segnale attribuendone la sacralità, che lo garantiva contro ogni tipo di offesa. “Terminos Deivos” è la denominazione
riportata in un’iscrizione paleoveneta rinvenuta a Vicenza e che indica evidentemente le divinità protettrici dei confini dei poderi di proprietà dei villaggi.
Di là del Tramigna, verso Verona, vi era il territorio che faceva capo al centro paleoveneto del monte Castejon di Colognola ai Colli, al quale appartenevano anche parte dell’attuale territorio di Belfiore, Soave e Illasi.
A nord il territorio di Sabbionara giungeva in prossimità della strada, ritenuta molto antica, che collega San Bonifacio
ancor oggi dei canali ed in parte la fossa Togna. Oltre a questi, verso nord, vi era il territorio pertinente al villaggio paleoveneto del monte Zoppega di Monteforte d’Alpone e, verso nord-est, quello soggetto ai paleoveneti vicentini di Lonigo. Verso est il territorio era delimitato dal
corso del Togna - Fratta il quale, dalla località Madonna di Lonigo fino alla località Casiero, lo separava da quello controllato dal centro paleoveneto di Baldaria. Infine a sud il confine era rappresentato dal corso del fiume Adige, oltre il quale vi era il centro paleoveneto di Minerbe.
Nel territorio di Arcole non sono state trovate, fino ad oggi, tracce della presenza di insediamenti o sepolture di epoca paleoveneta. Ciò può dipendere dal fatto che questo territorio, pertinente al villaggio paleoveneto di Sabbionara, non fu utilizzato per stabilirvi delle abitazioni,
ma adibito esclusivamente a bosco, per la raccolta della legna e la caccia, a pascolo
o a terreno coltivato. E’ molto probabile che i terreni circostanti il villaggio fossero, se non totalmente, almeno in parte di proprietà comune e riguardavano il bosco ed i prati adatti al pascolo ed all’allevamento del bestiame, soprattutto i noti cavalli veneti.
Nel IV secolo a. C., il centro paleoveneto di Sabbionara, come quelli di Baldaria, Oppeano, Isola Rizza, Minerbe, è abbandonato probabilmente a causa di allagamenti e disordini idraulici lungo l’antico corso dell’Adige, dove molte zone dovettero essere soggette a impaludamenti che resero malsane e insicure queste terre.
All’abitato paleoveneto di Sabbionara doveva corrispondere un esteso territorio che comprendeva parte della valle Zerpana,
tutto il territorio del comune di Arcole, parte dei territori oggi ricadenti nei comuni di San Bonifacio, Lonigo, Zimella, Veronella e Albaredo d’Adige.
Questo territorio era delimitato a ovest dal corso del torrente Tramigna che, in epoca antica, doveva correre dal ponte di Villanova sino all’Adige, attraversando la valle Zerpana tra gli abitati di Zerpa e Bionde. Il nome del torrente Tramigna deriva dal latino “termen”, termine, segno
di confine. I termini, come segni di confine del territorio di una comunità o di delimitazione di proprietà privata, nell’ambito di un preciso avvertimento
di significato legale, relativamente ad un’area che la loro presenza definisce ed individua, sono documentati sin dall’epoca paleoveneta, quando si adottò questo tipo di segnale attribuendone la sacralità, che lo garantiva contro ogni tipo di offesa. “Terminos Deivos” è la denominazione
riportata in un’iscrizione paleoveneta rinvenuta a Vicenza e che indica evidentemente le divinità protettrici dei confini dei poderi di proprietà dei villaggi.
Di là del Tramigna, verso Verona, vi era il territorio che faceva capo al centro paleoveneto del monte Castejon di Colognola ai Colli, al quale appartenevano anche parte dell’attuale territorio di Belfiore, Soave e Illasi.
A nord il territorio di Sabbionara giungeva in prossimità della strada, ritenuta molto antica, che collega San Bonifacio
ancor oggi dei canali ed in parte la fossa Togna. Oltre a questi, verso nord, vi era il territorio pertinente al villaggio paleoveneto del monte Zoppega di Monteforte d’Alpone e, verso nord-est, quello soggetto ai paleoveneti vicentini di Lonigo. Verso est il territorio era delimitato dal
corso del Togna - Fratta il quale, dalla località Madonna di Lonigo fino alla località Casiero, lo separava da quello controllato dal centro paleoveneto di Baldaria. Infine a sud il confine era rappresentato dal corso del fiume Adige, oltre il quale vi era il centro paleoveneto di Minerbe.
Nel territorio di Arcole non sono state trovate, fino ad oggi, tracce della presenza di insediamenti o sepolture di epoca paleoveneta. Ciò può dipendere dal fatto che questo territorio, pertinente al villaggio paleoveneto di Sabbionara, non fu utilizzato per stabilirvi delle abitazioni,
ma adibito esclusivamente a bosco, per la raccolta della legna e la caccia, a pascolo
o a terreno coltivato. E’ molto probabile che i terreni circostanti il villaggio fossero, se non totalmente, almeno in parte di proprietà comune e riguardavano il bosco ed i prati adatti al pascolo ed all’allevamento del bestiame, soprattutto i noti cavalli veneti.
Nel IV secolo a. C., il centro paleoveneto di Sabbionara, come quelli di Baldaria, Oppeano, Isola Rizza, Minerbe, è abbandonato probabilmente a causa di allagamenti e disordini idraulici lungo l’antico corso dell’Adige, dove molte zone dovettero essere soggette a impaludamenti che resero malsane e insicure queste terre.