Via Rosario
Ad Arcole la colonizzazione fu attuata con l’afflusso di soldati-coloni provenienti dall’Italia centro-meridionale e accompagnati da schiavi, principalmente
greci. Ne è prova l’ara funeraria, mutila della parte inferiore e dello spigolo superiore destro in calcarenite fossilifera chiara, rinvenuta fra le macerie
del vecchio campanile di Arcole, crollato nel 1950. E’ conservata ora presso il museo di Arcole. La lapide fu
lavorata secondo una tipologia particolarmente diffusa in area atestina, la cui scuola d’origine va ricercata soprattutto
nell’Italia centro-meridionale. Lo specchio epigrafico, rifinito a martellina, è riquadrato da una cornice a gola e listello. Le lettere, in pessimo
stato di conservazione, sono state incise con solco a sezione triangolare, con particolare cura e regolarità, nella
ricerca del caratteristico effetto ottico dell’ombreggiatura.
Essa riporta il seguente
testo: D(is) M(anibus)./ Marsiai
/ Eucharidi / coniu (gi) /… S
Secondo studi recenti, in conformità a alcune caratteristiche del monumento, quali la tipologia, la presenza della sigla
D M e del cognome, la forma di alcune lettere, l’ara funeraria è stata datata tra la fine del I sec. d.C. e la prima metà del
II sec. d. C.
Di particolare interesse il nome gentilizio Marsius, del tutto nuovo sia per il territorio atestino che per l’Italia settentrionale.
Inoltre un unicum per la zona è costituito dal cognome greco Eucharis, caratteristico di schiavi e liberti, che nell’Italia Cisalpina è attestato solo
in Piemonte. L’omissione dell’indicazione dello stato d’ingenua o di liberta, unita alla presenza di un cognome di origine greca, fa supporre che la donna
qui ricordata sia una liberta, della quale, per comprensibili motivi, si è preferito non menzionare la condizione sociale.
Alla metà degli anni Settanta, nell’area antistante alla chiesa parrocchiale in via Rosario, durante i lavori di sbancamento
per la costruzione di un’abitazione, a una profondità di circa 50-60 cm, tra il terreno di riporto fu notato numeroso materiale che, alla luce di
quanto descritto, si deve ritenere di epoca romana. Si trattava di tegoloni romani e anfore con resti di ossa umane,
che formavano varie tombe frammiste a uno spesso strato di cenere.
Tutto il materiale, allora ritenuto di scarsa importanza e di epoca recente, fu portato con il terreno alla discarica.
Nella stessa area furono trovate anche delle monete romane, poi disperse, di epoca vespasiana (69-79 d. C.) e costantina
(323-357 d. C.). E ’indubbio che si trattasse di un sepolcreto romano, pertinente al vicus di Arcole, confermato anche dal ritrovamento dell’ara funeraria
dedicata agli Dei Mani.
Ad Arcole la colonizzazione fu attuata con l’afflusso di soldati-coloni provenienti dall’Italia centro-meridionale e accompagnati da schiavi, principalmente
greci. Ne è prova l’ara funeraria, mutila della parte inferiore e dello spigolo superiore destro in calcarenite fossilifera chiara, rinvenuta fra le macerie
del vecchio campanile di Arcole, crollato nel 1950. E’ conservata ora presso il museo di Arcole. La lapide fu
lavorata secondo una tipologia particolarmente diffusa in area atestina, la cui scuola d’origine va ricercata soprattutto
nell’Italia centro-meridionale. Lo specchio epigrafico, rifinito a martellina, è riquadrato da una cornice a gola e listello. Le lettere, in pessimo
stato di conservazione, sono state incise con solco a sezione triangolare, con particolare cura e regolarità, nella
ricerca del caratteristico effetto ottico dell’ombreggiatura.
Essa riporta il seguente
testo: D(is) M(anibus)./ Marsiai
/ Eucharidi / coniu (gi) /… S
Secondo studi recenti, in conformità a alcune caratteristiche del monumento, quali la tipologia, la presenza della sigla
D M e del cognome, la forma di alcune lettere, l’ara funeraria è stata datata tra la fine del I sec. d.C. e la prima metà del
II sec. d. C.
Di particolare interesse il nome gentilizio Marsius, del tutto nuovo sia per il territorio atestino che per l’Italia settentrionale.
Inoltre un unicum per la zona è costituito dal cognome greco Eucharis, caratteristico di schiavi e liberti, che nell’Italia Cisalpina è attestato solo
in Piemonte. L’omissione dell’indicazione dello stato d’ingenua o di liberta, unita alla presenza di un cognome di origine greca, fa supporre che la donna
qui ricordata sia una liberta, della quale, per comprensibili motivi, si è preferito non menzionare la condizione sociale.
Alla metà degli anni Settanta, nell’area antistante alla chiesa parrocchiale in via Rosario, durante i lavori di sbancamento
per la costruzione di un’abitazione, a una profondità di circa 50-60 cm, tra il terreno di riporto fu notato numeroso materiale che, alla luce di
quanto descritto, si deve ritenere di epoca romana. Si trattava di tegoloni romani e anfore con resti di ossa umane,
che formavano varie tombe frammiste a uno spesso strato di cenere.
Tutto il materiale, allora ritenuto di scarsa importanza e di epoca recente, fu portato con il terreno alla discarica.
Nella stessa area furono trovate anche delle monete romane, poi disperse, di epoca vespasiana (69-79 d. C.) e costantina
(323-357 d. C.). E ’indubbio che si trattasse di un sepolcreto romano, pertinente al vicus di Arcole, confermato anche dal ritrovamento dell’ara funeraria
dedicata agli Dei Mani.